Il Made in Italy? Spesso solo una mossa di marketing
Negli ultimi tempi, leggiamo spesso “Made in Italy”,
ne sentiamo parlare, risaltarne il valore.
Ma si tratta di un reale rilancio del Made in Italy?
A mio parere, no. Potevate immaginarlo.
Penso, piuttosto, che il timbro del Made in Italy è divenuto una
propaganda:
viene, costantemente, adoperato come strategia di marketing,
qualora le cose iniziano ad andare maluccio.
Sì, perché alcune cose sono cambiate: all’apice del caos circa la
produzione e la provenienza dei prodotti, i consumatori hanno iniziato,
sempre di più, ad informarsi. E’ cresciuto l’interesse pubblico sulla
natura e la vita della merce che si acquista: di conseguenza è
aumentata la ricerca della qualità. In certi casi, la pretesa.
E questo processo ha riguardato più o meno tutti i settori:
dall’abbigliamento alla cucina, dall’arredo di una casa, fino alla scelta
della cosmesi.
Per cui il Made in Italy rappresenta una garanzia, che l’azienda si può
giocare piuttosto bene, se è capace.
MA COME SI PUO’ RILANCIARE DAVVERO IL MADE IN ITALY?
In un contesto macchiato di ombre, io qualche idea per rilanciare
realmente i prodotti italiani, l’ho avuta.
Forse più che idee, posso parlare di proposte perché in effetti
la teoria non è difficile, lo è molto di più la pratica.
Ho quantificato in 3 passi il rilancio di cui parlo.
1. LA DOMANDA CONSAPEVOLE
Cosa significa domanda consapevole?
Come tutti sappiamo, l’acquisto dei prodotti contraffatti (il così detto
tarocco) rappresenta una buona fetta di mercato:
Il mercato nero, pertanto, ha dei margini di guadagno molto alti,
a discapito non solo dei grandi brand (che forse sono quelli che perdono
meno), ma soprattutto dei marchi minori.
Per cui, sarebbe opportuno una sorta di monitoraggio sull’acquisto,
cioè:
Chi è che compra i prodotti contraffatti? Chi sono le persone a cui
dobbiamo rivolgerci? Quanti anni hanno, che lavoro fanno, quanto
guadagnano, quali sono i loro obiettivi, dove vanno in vacanza…
Insomma, conoscere il tuo interlocutore vuol dire sapere ciò che
hai da dirgli. L’obiettivo è riportarli a casa, nell’artigianato italiano di
qualità.
2. OFFERTA CHIARA
Dal problema della domanda, passiamo a quello dell’offerta:
I brand del lusso, ossia i grandi marchi della moda italiana, effettuano,
costantemente, controlli e supervisione sulle fabbriche a cui
commissionano i prodotti.
In questo senso, non si può negare l’efficienza.
Ma sarebbe ancora meglio, se gli stessi brand parlassero
pubblicamente di Chi produce i lori capi (o borse che siano).
Eliminare, quindi, il velo che copre la produzione e far conoscere
al pubblico finale l’identità degli artigiani italiani.
Questa chiarezza, questa sincerità da parte delle aziende di moda,
condurrebbe, inevitabilmente, alla crescita dell’artigiano stesso:
la responsabilità, pubblicamente riconosciuta, funzionerebbe come
motore d’avviamento per il miglioramento delle proprie competenze.
Senza contare il legame che si andrebbe a creare con i clienti:
dove c’è la faccia, c’è la fiducia.
3. LA STORIA DEGLI ARTIGIANI
Il terzo ed ultimo ingrediente potrebbe apparire piuttosto estetico, ma
non lo è; si tratta delle storie di chi lavora, ossia degli artigiani.
Pertanto, ci ricolleghiamo al punto precedente: conoscere chi lavora
per il tuo prodotto, rende ciò che hai acquistato più familiare.
Leggere la vita, le speranze e le conoscenze di un artigiano, ci fa sentire
molto più vicini a quella manualità, lontana dalle catene di montaggio,
ma, finora, lontana anche dalle nostre coscienze.
Bene. Questi, per me, sono i tre ingredienti di una ricetta necessaria per
il rilancio del Made in Italy.
E, forse, qualcuno già li aveva teorizzati prima di me.
Forse, tutti sanno quel che si dovrebbe fare.
Ma perché non si fa?
Beh, bisognerebbe scriverci un libro…nel quale, la premessa dell’autore
parlerebbe degli interessi, delle lobby e delle caste da mantenere tali,
in quest’apparato produttivo.
Ma sappiamo anche che con la consapevolezza collettiva,
molte cose possono cambiare. La domanda può regolare e cambiare
alcuni meccanismi che riguardano l’offerta.
Quindi, impegniamoci a chiedere di più.
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