Il Reshoring salverà il Made in Italy? Parlo un po’ ad alta voce con te…

Chiacchierando qualche giorno fa con un mi amico e collega di settore siamo fini ti a parlare di RESHORING.
Non ti nascondo che ogni volta che penso agli anni in cui si sono aperte le frontiere e le aziende italiane hanno cominciato ad esternalizzare le produzioni, creando il fenomeno inverso, quello dell’ offshoring, mi ritornano alla mente tanti brutti ricordi.

Ricordi legati principalmente alla connessione tra questo evento socio economico ed il fallimento dell’azienda di famiglia.
I miei genitori si sono occupati da sempre di pelletteria e di produzione di borse, quello che oggi è appunto il mio lavoro.
Loro sono la testimonianza proprio di quegli anni e di quello che è accaduto.
Erano gli anni a ridosso del nuovo millennio, tra fine degli anni ’90 ed il 2000.

Quando si parla di offshoring, quindi l’organizzazione di una produzione dislocata in altri paesi., nel caso dell’Italia se ne parla in riferimento alle aziende che sono andate a produrre in Cina, Vitnam, Bulgaria, Romania e così via, per intenderci.

Spiegato il fenomeno e l’etimologia pochi si sono soffermati sui mutamenti che questa pratica economica ha portato ai vari settori.
La pelletteria è stato un settore che si è trovato radicalmente cambiato e dissestato dopo anni di offshoring.

Oggi invece ci troviamo ad analizzare il fenomeno inverso ovvero quello del Reshoring.
In termini pratici significa che le aziende che prima avevano delocalizzato, ritornano a casa, in Italia nel nostro caso.

Fino all’annus horribilis del covid, il 2020 già si era caratterizzato per aver visto numerose aziende rientrare in Italia per produrre e investire sulle nostre filiere manifatturiere, fattore determinato probabilmente dal peso del brand “Made in Italy”.
Infatti si sono viste rientrare aziende appartenenti prevalentemente ai settori della moda e dell’elettronica.

Perchè è avvenuto questo massiccio rientro?

Sicuramente uno dei motivi è stata l’esigenza delle imprese di rivedere tutta la filiera dei fornitori sia di materie prime che di servizi, in previsione anche di una drastica riduzione degli scambi commerciali tra paesi >> Banca Mondiale, nel 2020 ci sarà una riduzione del commercio internazionale di 10 punti percentuali in uno scenario ottimista e di 30 punti percentuali nello scenario più pessimista. (fonte EconomyUp)

Il Reshoring davanti a queste situazioni sembra quasi una scelta obbligata ma come ti dicevo prima il fenomeno di delocalizzazioni ha creato non pochi problemi per la pelletteria, tra i quali: scarsità di manodopera qualificata e poca chiarezza su tutta la filiera produttiva italiana.

Una delle consapevolezze che ha generato la pandemia, inoltre,  è che nessuno, al di fuori degli addetti ai lavori, sapeva che tanta pelletteria e moda in generale, si producessero in Italia.

Le fabbriche non sono mai state pubblicizzate abbastanza e bene, comportando la loro messa in ombra e non permettendo al consumatore di avere una capacità critica maggiore quando acquista i prodotti.

Da questo si è generato che il Made in Italy non ha più completa attinenza con il prodotto fatto nelle fabbriche italiane ma semplicemente un’etichetta che identifica che un prodotto è fatto tutto o in parte in Italia. Ma da chi viene prodotto?

Ormai si pensa che le fabbriche siano solo cinesi o a Prato o all’Osmannoro, è come noto a tanti, questi territori vengono identificati come luoghi di illegalità e ne ho parlato anche in un video su YOUTUBE, ecco il link >> Borse e Made in Italy. Tutto quello che gli altri non ti raccontano e sfatiamo i luoghi comuni

Nella mia esperienza ho così compreso che la valorizzazione del Made in Italy o meglio la riqualificazione, passa inevitabilmente attraverso la certificazione della filiera produttiva, della Manifattura Italiana.

Fatta questa premessa mi ricollego al rientro in Italia di alcuni brand e delle loro produzioni.

Sulla carta un’opportunità che andrebbe sfruttata al volo ma è davvero possibile farlo?

I 5 problemi che intravedo sono questi:

  • Un primo problema da superare è la questione burocratica e di costo del lavoro.
    Bisognerebbe rendere più profittevole per i brand, produrre in Italia. Si parla da anni dell’abbassamento del costo del lavoro ma andrebbe non solo attuato ma studiato ad hoc per ogni settore.
    Esistono già in Italia delle zone ASI, Aree di Sviluppo Industriale ma evidentemente non sono sufficienti e per questo son fondamentali i censimenti della filiera e supporti su misura.
  • Il secondo problema  è rappresentato dalla mancanza di Know-how.
    Dagli anni bui della delocalizzazione ci portiamo dietro la chiusura di tante aziende, la partenza di tanti tecnici che hanno trovato lavoro in aziende all’estero e la mancanza di ricambio generazionale.
    Contemporaneamente i grandi brand della moda hanno parcellizzato il lavoro per svariati motivi.
    Quando parlo di “parcellizzazione” intendo la suddivisione del lavoro in fasi date a svariati gruppi.
    Quindi se inizialmente una fabbrica riusciva a produrre una borsa da zero, ora abbiamo un’enorme vuoto di modellerie
    e anche di fabbriche che siano in grado di produrre tutto internamente.
    Esistono tanti laboratori solo di tintura, o di assemblaggio o che fanno solo taglio e così via.
    Questo comportamento da parte dei brand è stato generato dalla necessità di controllare maggiormente i terzisti e di abbassare i problemi. Ci sono poi altre facce della situazione che magari approfondisco in un altro articolo ad hoc.
    Per risolvere questo gap andrebbero creati degli hub di sostegno e destinati fondi ad hoc per lo sviluppo delle fasi mancanti, a sostegno delle aziende che possono inglobare eventuali produzioni di rientro dall’estero.
  • Terzo problema quello delle infrastrutture.
    I poli produttivi, escludendo Scandicci, sono dislocati male e mal serviti dai mezzi di mobilità.
    Strade ed autostrade non sono all’altezza di sostenere enormi spostamenti di merci.
    Basti pensare che in Campania, zone come Arzano o Carinaro, grandi centri industriali per la pelletteria e le scarpe, sono difficilmente raggiungibili con i mezzi pubblici.
    Mancano asili e aree ristoro. Dislocazioni per le maggiori arterie stradali ma soprattutto ferroviarie.
    Andrebbe quindi pensato un piano di sviluppo delle infrastrutture, orientato al supporto dei siti produttivi.
  • Quarto problema la mancanza di comunicazione e network tra gli artigiani, imprenditori e brand.
    Esistono tante associazioni che spesso non parlano tra loro e non esiste un censimento dei siti produttivi in italia, reale e. non basato sui codici ateco. Bisogna poi mettere sotto ad unica voce tutta la Manifattura Italiana, identificando capacità produttive, particolarità e tutti i dettagli che denotano il nostro ingegno.
  • Quinto problema rappresentato dalle incapacità di diverse aziende di gestire le produzioni in Italia.
    Pretendono spesso cose irrealizzabili per tempi e pagamenti.
    Vogliono speculare e non investire. Non hanno progettualità a medio lungo periodo, perchè forse la tentazione di ritornare in Cina o altrove, è sempre più forte di costruire un indotto sano in Italia.

Sono ottimista su quello che riuscirà a portare di buono questa tendenza ma lo sono molto meno su quanto il tessuto produttivo italiano, sia preparato ad assimilare i benefici anche perchè come ti scrivevo sopra, senza i dovuti sostegni, è davvero impraticabile per molte aziende, sviluppare lavori da zero e destinare i lavori solo a grandi realtà che poi smistano il lavoro ai sub, creerebbe solo caos e abbassamento indiscriminato del costo di manodopera.

Questo ultimo caso è un dato certo che abbiamo vissuto fino a 7/8 anni fa, quando i brand avevano fornitori di qualunque livello.

Non nascondiamoci dietro ad un dito, purtroppo il settore per rinascere ha bisogno di distanziarsi da tutta l’illegalità che trova intorno. Per farlo bisogna censire e rendere chiara la filiera di produzione.
Serve poi inevitabilmente anche una grande partecipazione da parte degli imprenditori del settore.
Bisogna trovare un fronte comune ed unirci nella volontà di rilanciare il Made in Italy, dandogli un significa nuovo.

Così il reshoring ha davvero un senso e porterà grossi benefeci a lungo termine:
Diversamente sarà un fenomeno passeggero, l’ennesimo treno perso che però non tornerà più.
Se non c’è lavoro per le fabbriche, le fabbriche chiudono. Se chiudono le fabbriche non c’è formazione che tenga. Senza ricambio generazionale il Made in Italy è costretto a sparire.

Chi salverà il Made in Italy?
Questa volta tocca a noi!

Spero che questo articolo ti sia piaciuto e aspetto i tuoi commetti.

Ornella

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