Qual è il paese che “consuma” più pelletteria italiana? Stupitevi!
Quali sono, secondo voi, i prodotti che l’Italia esporta di più, nel resto del mondo?
Parmigiano Reggiano, Pasta, Olio, Vino, pomodori….sono queste le eccellenze che, immediatamente, ci arrivano ai pensieri.
Tuttavia, non è così.
Senza dubbio, i nostri prodotti alimentari godono di ottima fama e autorevole prestigio all’estero…tanto da fomentare le numerose aperture dei ristoranti italiani. Ma, recentemente, mi sono imbattuta in un documento dell’Osservatorio Economico del Ministero dello Sviluppo Economico (clicca qui, per leggerlo), il quale stila una classifica, con annessi dati, circa le esportazioni.
E’ stato interessante notare che i prodotti più esportati sono di natura meccanica: apparecchiature, sollevatori, utensili portatili a motore, e via dicendo; poi ci sono gli autoveicoli, i prodotti farmaceutici….e poi c’è il settore dell’abbigliamento e della pelletteria.
Essendo una classifica che si basa sulla mole delle quantità esportate e sui capitali, è comprensibile che il settore alimentare non compare nella lista, poiché forse i prodotti culinari prevedono spostamenti economici più “piccoli”. Ma, per lo stesso motivo, è gratificante che, invece, Moda e Pelletteria siano presenti nei dati del Ministero.
Le nostre borse, le nostre cinture, i nostri accessori sono richiesti in tutto il mondo, poiché garanti dei nostri metodi produttivi, acclamati a livello globale.
DOVE “SBARCA” LA NOSTRA PELLETTERIA?
Inutile sottolineare l’importanza delle Esportazioni per la pelletteria italiana: se ci affidassimo, esclusivamente, alla vendita interna, potremmo chiudere la bottega, per dirlo in parole povere.
Mentre i flussi economici italiani, infatti, vanno e vengono, gli altri paesi continuano a richiedere il nostro Made in Italy.
Nel 2003, il Presidente dei Pellettieri italiani, Giorgio Cannara, commentò con le seguenti parole l’industria della pelletteria italiana: “Meno male che c’è il Giappone!”
Questo perché, allora, il Giappone era un grande “consumatore” dei nostri prodotti di pelle: se non il primo, era sicuramente quello in cui la richiesta cresceva visibilmente. Si trattava, per lo più, di Brand di fascia medio-alta, come Gucci, Louis Vuitton ed Hermes.
Ma, grazie alla crescente domanda, si erano aperti nuovi spiragli anche per altri marchi minori, che, poi, infatti, sono decollati, come Furla.
Ora la situazione è cambiata.
L’esportazione resta ancora un canale importante di vendita, ma le destinazioni sono diverse. Si sa, l’economia mondiale non è altro che un diagramma di flusso senza ironia, per cui gli attori del business cambiano…ma non troppo.
Secondo i recenti dati del Centro studi per Confindustria Moda, i paesi che crescono nell’importazione della nostra pelletteria sono Svizzera, Germania e Cina.
Mentre frena il Giappone, assieme a Hong Kong e Singapore. Anche il Sud Corea è un grande estimatore del Made in Italy, ma si mantiene stabile, senza evidenti crescite nel consumo.
Poi, ci sono i due paesi che erano in fase di recupero, ossia che stavamo “riprendendo” dalla stasi: Stati Uniti e Russia. Il primo, anche se lentamente, sta aumentando le richieste, mentre la Russia è, drasticamente, in calo.
In pratica, il 60% delle esportazioni della pelletteria italiana è diviso tra sei destinatari principali: Svizzera, Francia, Hong Kong, USA, Giappone e Sud Corea.
La Cina non compare. Sì, perché nonostante i dati sulla Crescita ci informano che sono in aumento le importazioni, la Cina non è ancora tra le capoliste. Come la Germania.
Per cui, è possibile che in futuro i due paesi andranno a inserirsi tra i maggiori consumatori di pelletteria italiana.
Voi l’avreste detto che la Svizzera era il paese che importa maggiormente la Pelletteria italiana? Io forse sì, ma io non faccio testo, poiché sono del settore.
NAPOLI BORDER-LINE
I dati, senza dubbio, sono importanti. Possono offrirci una chiara situazione di ciò che accade in ambito economico, con grandi sorprese, talvolta.
Tuttavia, alla radice di questi studi e di queste tabelle, ci sono gli Strumenti: ci siamo noi. Noi produttori, noi consumatori, noi abitanti attivi di una comunità che deve lottare non solo per l’autodeterminazione, ma per esportarne il valore.
E, se volessimo recintare questo processo nella nostra città, allora ci dovremmo occupare di molte cose.
Chi mi conosce o chi mi ha incontrata, casualmente, in Rete, sa bene quanta rabbia mi lega alla Pelletteria Napoletana.
Una rabbia che ha le fondamenta nell’amore, il quale non ha sempre le forze per assistere allo spreco di una risorsa così cara e così sottovalutata.
A proposito del Made in Italy, probabilmente chi acquista i nostri Brand prestigiosi dall’altro lato del mondo, non sa Dove realmente sono stati prodotti.
Non sa che tra i maggiori produttori della pelletteria italiana c’è Napoli, la Regina della cronaca nera, la gatta randagia su un cumulo di immondizia, la cultrice dello spaccio a cielo aperto.
Più volte ho attaccato gli imprenditori e la loro logica di massimizzazione del profitto a discapito della città – Più volte ho attaccato i consumatori, inconsapevoli dei danni che arrecano a Napoli quando comprano i prodotti contraffatti – Più volte ho attaccato i dipendenti delle fabbriche di pelletteria, i quali posseggno un know how importante che non sanno valorizzare – Più volte ho accusato me stessa di incolpare una città, già pesantemente maltrattata dalla Storia e, oggi, dai media internazionali.
Sia chiaro: non intendo trincerarmi in nessun vittimismo, né in luoghi comuni alla moda. Ma alcune dinamiche sono note a tutti.
Per anni Napoli è servita alle istituzioni come terra franca, in cui chiudere un occhio e favorire il dominio delle attività criminali. Per anni, i giornali di tutto il mondo hanno sguazzato nelle storie buie della città del sole.
Per anni, la nostra pelletteria ha dovuto vivere nell’ombra di piccole fabbriche in provincia, ma soprattutto accanto all’amico di famiglia, la contraffazione.
E chi conosce la nostra pelletteria? Pochi.
Gran parte dei prodotti esportati, di cui prima abbiamo parlato, sono stati creati qui. E’ qui che Gucci e Lois Vuitton producono. Ma manco i napoletani ne sono a conoscenza.
E’ come avere un capitale investito, di cui non conosci la cifra e, quindi, manco i profitti. Allora, mi arrabbio. Perché tutte le colpe elencate prime, in effetti, esistono.
Tuttavia, stiamo assistendo ad una rivoluzione che, piano piano, sta cambiando le cose: da città BorderLine, Napoli, potrebbe diventare protagonista della sua Storia e, soprattutto, consapevole delle sue forze.
Tuttavia, bisogna rimboccarsi le maniche…anche contro gli stessi napoletani, i quali urlano “appartenenza” dalla curva di uno Stadio e poi, una volta fuori, fanno affari con chi distrugge la città.
Questo non è un gioco. Questa non è più la città di Pulcinella.
COSA PENSI DI QUESTO POST? SEI D’ACCORDO CON ME? COME DEVE MIGLIORARE LA PRODUZIONE NAPOLETANA, A TUO AVVISO?