Borsa Pinko: storia del brand e recensione alla Tiny Love Bag
Se pensi ad una borsa Pinko, pensi alla Love Bag.
Ha quasi cinque anni di vita, ma il suo successo è stato esorbitante.
Ha girato il mondo in poco tempo, facendo innamorare particolarmente il pubblico asiatico; basti pensare che i cinesi considerano la Love bag Pinko un accessorio portafortuna, grazie alla fibbia formata da due rondini innamorate che si baciano in modo affettuoso. Ossia, il logo del brand.
Finalmente, anche io ho comprato una borsa Pinko. E oggi la vedremo insieme!
Sono tantissime le borse che mi suggerite di acquistare, per cui spesso devo spalmare i miei acquisti nel tempo.
Ma arriva sempre il momento della borsa che stavi aspettando!
Nessuno mi paga per le mie recensioni alle borse.
E nessuno mi regala borse da presentarti. Cioè, questo articolo NON È UNA PUBBLICITÀ.
Ed è importante che tu lo sappia. Perché le mie recensioni vogliono essere un aiuto per i tuoi acquisti. Un aiuto sincero.
Per cui, troverai le informazioni che ti serviranno circa i materiali delle borse, i dettagli, il design, il rapporto qualità / prezzo e molto altro.
Ornella, allora qual è il tuo guadagno?
Il mio guadagno sei proprio tu.
Un consumatore consapevole in più è una nuova arma per la lotta che porto avanti da anni. Quella contro la contraffazione.
Ti parlo di borse e storie originali per farti entrare nel mondo della produzione reale ed onesta. Per mostrarti quanto lavoro e quanta creatività ci sia.
Ma soprattutto per dirti che ogni acquisto onesto è un contributo all’intera collettività.
Al contrario, ogni borsa falsa, prodotta e acquistata, è un cazzotto in faccia alle nostre fabbriche e agli artigiani esperti che lavorano con passione e sacrificio.
Forse quell’artigiano è proprio tuo marito, tua cugina o un tuo caro amico. Siamo tutti parte, in qualche modo, del ciclo produttivo.
E supportarlo significa dare valore alla nostra terra e a tutte le sue competenze.
Per cui, acquisto con i miei soldi ogni borsa, sostenendo nel mio piccolo la filiera di cui io stessa faccio parte.
Anche io sono una produttrice, sebbene essere un’imprenditrice al sud non sia sempre facile.
Mi occupo di produzione di borse di pelle per alcuni brand della moda di lusso, con l’azienda radicata nel cuore di Napoli.
Ho cacciato gli artigli e ho scelto di portare avanti il sogno dei miei genitori, i miei più grandi maestri di vita e di lavoro.
Quindi, eccomi qui. Produttrice e consumatrice. Mamma e imprenditrice. Donna e appassionata di storie.
La storia di oggi è intensa e molto interessante. Ti piacerà tantissimo!
Quindi, mettiti comoda e immergiti nel mondo Pinko.
Poi, nella mia recensione alla borsa Pinko – modello Tiny Love Bag Mixi.
Mi piace?
Cosa devi sapere prima di acquistare una borsa Pinko?
Tra pochissimo, scoprirai tutti i dettagli!
Borsa Pinko: un Pinco Pallino qualunque…
La storia dell’azienda di moda emiliana è molto accattivante.
Ci sono tutti gli elementi necessari alla trama: un matrimonio, il coraggio di osare, le prime vittorie, i momenti di crisi e le scelte difficili.
Ma al centro di tutto c’è l’accoglienza del futuro.
Molto spesso conosco, oppure, leggo di imprenditori che non riescono a rinunciare alla perfezione del passato. Cioè a quella che sembra perfezione, ma è solo un’idea.
L’ostacolo principale di alcuni marchi prestigiosi è proprio lo sguardo ancorato al sistema passato; un sistema che non si evolve.
Pietro Negra e Cristina Rubini, al contrario, hanno il timone direzionato al futuro. E la garanzia di conquistarlo, grazie al supporto delle due giovani figlie, Caterina e Cecilia.
Sto parlando della famiglia di Pinko, uno dei marchi più iconici della moda italiana degli ultimi decenni.
Il brand è stato creato nel 1986 a Fidenza, in provincia di Parma.
Tuttavia, qualche anno prima nasceva la Cris Conf, l’azienda di abbigliamento ideata da Pietro Negra e sua moglie Cristina.
Pietro aveva già avuto esperienze nel campo della moda, fin dai primi anni di università.
Iscritto alla facoltà di Fisica, gli fu infatti chiesto di progettare delle magliette pubblicitarie; il giovane accettò l’incarico e con il guadagno comprò due macchine usate.
Iniziò così la sua esperienza circa la produzione conto terzi, in terra bolognese.
Una produzione che crebbe sempre di più, fino alla decisione di dar vita al marchio personale.
Pinko non è altro che il classico Pinco Pallino che si mette a fare qualcosa.
Da questo concetto viene il nome del brand, in cui la c verrà sostituita con la k e il Pallino sarà abbandonato.
Quando nacque il marchio, la prima strategia messa appunto dalla coppia fu quella delle collezioni flash: abiti che cambiavano ogni settimana, per dare al pubblico giovane la possibilità di trasformarsi di continuo.
Una scelta efficace che, tuttavia, sarà sostituita dopo poco da un altro tipo di approccio, più esteso e trasversale. Viene, infatti, lanciata una linea pret-a-porter femminile, rivolta anche alle donne più adulte.
Le collezioni flash lasceranno così il posto ad outfit più articolati e definiti, per una donna che vive e progetta, senza sosta.
In effetti, l’intento principale del brand è sempre stato quello di essere portavoce della donna contemporanea, in tutte le sue sfaccettature.
Pietro Negra, oltre a vivere con tre donne che condividono con lui anche la sfera professionale, ha ben 200 dipendenti del gentil sesso.
Forse anche per questo Pinko è sempre riuscito a stare sul pezzo, per quanto riguarda esigenze e politiche femminili.
Non a caso, il quartier generale del brand, immerso nel verde in uno spazio di 15.000 mq all’insegna della sostenibilità e dell’approccio green, è anche munito di un asilo nido pensato per supportare le mamme lavoratrici dell’azienda.
Ma facciamo qualche passo indietro, perché non è sempre stato tutto rose e fiori. Neanche per Pinko.
Se durante gli anni ’80 e ’90 la crescita di Pinko ha riguardato il mercato italiano, l’inizio degli anni duemila ha visto l’espansione internazionale, con investimenti mirati alla conquista estera.
Vennero aperti 800 punti vendita Pinko in diverse città del mondo, più le 70 boutique inaugurate poco dopo.
Nel 2002 il fatturato toccò il primo record: 50 milioni di euro.
Nel 2014 il marchio di Pietro e Cristina contava 150 negozi monomarca nel mondo, 1400 presenze nei multibrand e 8 outlet store in Italia.
Ma proprio quest’anno vide una forte perdita dei ricavati e, quindi, una decisione molto drastica: ci fu un piano di ristrutturazione aziendale per il quale vennero tagliati 44 dipendenti.
Purtroppo, le aziende molto strutturate rischiano di vivere momenti simili.
Ma nel 2016 il segno di rinascita non tarda ad arrivare: Pinko, con 195 milioni di ricavi, entra nel progetto Elite di Borsa Italia.
Pinko è un’azienda che non si è mai fermata.
Come ho detto prima, ha sempre avuto la saggia intuizione di interagire con i tempi moderni, in molti modi. Come dimostrano gli Hybrid Shop, creati nel 2013: vetrine virtuali nei negozi reali, che mostravano l’intera collezione del brand, acquistabile online in tutte le sue varianti, con un semplice click.
Caterina e Cecilia, le giovani figlie della coppia manageriale, partecipano attivamente alla crescita del brand, portando nell’assetto aziendale le fresche idee della nuova era.
La prima si occupa del lato creativo delle collezione, mentre Cecilia è addetta alla comunicazione del marchio.
Il loro contribuito è stato decisivo in alcune iniziative; dal 2016, per esempio, Pinko non produce più capi in pelliccia, e l’headquarter è concepito in un’ottica pet friendly, dal momento che ospita anche gli amici animali.
Inoltre, tra le iniziative più recenti c’è anche #Startwithatree che permette di piantare un albero da frutto in Kenya con un semplice click, attraverso la piattaforma Treedom.
Si tratta di abbracciare totalmente i nuovi valori della società. I valori delle nuove generazioni, sempre più attente al consumo etico e sostenibile.
Pinko, in fondo, ha sempre mostrato di conoscere il linguaggio giusto per parlare al suo pubblico: le testimonial scelte per le campagne pubblicitarie sono sempre state donne di grande visibilità, come Naomi Campbell, Eva Herzigová, Elle MacPherson, Frankie Rayder, Erin Wasson e molte altre. Oltre a Mariah Carey, protagonista degli spot televisive del marchio.
Si può dire che Pinko è un brand di successo grazie alle sue donne, dentro e fuori all’azienda.
Pietro Negra, in un’intervista al portale Vg, afferma che porta avanti le sue attività con “ritmo agonistico”, sia nella vita che nel lavoro, senza tralasciare gli hobbies di sempre quali la corsa in moto e in auto. Il concetto di velocità non lo abbandona mai.
Ma, adesso, è giunto il momento di vedere da vicino la mia borsa Pinko e tutte le sue sfumature.
Sei curiosa?
Borsa Pinko: ecco il modello che ho scelto!
Ho scelto il modello Tiny Love Bag Mixi, in nappa laminata, di colore nero, con tracolla in catena, fodera interna fatta al 50% in poliuretano e al 50% in polietilene. In esterno pelle di vitello.
Il prezzo pieno è di 185,00 euro ma grazie ai saldi l’ho pagata 130,00 euro + 7,00 euro di spedizione.
Quando mi è arrivata la borsa Pinko sono rimasta sorpresa dalle sue dimensioni: è molto più piccola di quanto immaginassi. Ha più o meno le dimensioni di un portafogli.
Le immagini sul sito, infatti, non sono molto “chiare” a riguardo.
Per questo, preferisco sempre che le foto delle borse siano “contestualizzate”, per esempio indossate da modelle.
Ma, in ogni caso, la mia borsa è un piccolo gioiellino. Mi piace molto!
Magari la utilizzerò all’interno delle borse più grandi, come spesso faccio con le pochette; oppure per le uscite pomeridiane meno impegnative, come un aperitivo con le amiche.
I tempi di spedizione sono stati piuttosto rapidi; la borsa mi è arrivata in un packaging molto carino ed elegante, con flanellina logata: anche questo è un dettaglio che dice molto su come sia strutturata l’azienda e la cura che riserva al cliente nella presentazione del prodotto; inoltre, assieme alla mini borsa mi è arrivato un opuscolo con tutte le informazioni di cui ho bisogno, sui materiali e sul lavaggio.
Vediamo tutti i dettagli:
- La fibbia in metallo con gli uccellini Love Birds è l’icona del brand, ed è l’accessorio che maggiormente risalta nelle borse Pinko. Mi piace molto!
- Come abbiamo visto, la mia borsa Pinko è molto piccola: è importante, in questo caso, soffermarsi su tutte le lavorazioni che presenta. Lavorare su piccole dimensioni non è affatto semplice, e non è detto che un artigiano delle borse sappia occuparsi delle micro-lavorazioni richieste da questo tipo di prodotto. Per cui, è un punto a favore del brand!
- La trapunta della parte esterna richiama altre borse iconiche del mondo della moda: ho pensato subito a Chanel per la parte superiore e a Yves Saint Laurent per la trama inferiore. Senza dubbio questa “citazione” conferisce alla borsa un’eleganza ampiamente consolidata.
- Sia il materiale della borsa, la pelle di vitello laminata, che il profumo mi trasmettono qualità. Del resto, non è una borsa dal prezzo molto accessibile, visto le dimensioni e la funzionalità.
- All’interno trovo la fodera sintetica, che tuttavia ha un’ottima risposta al tatto: sembra quasi un leggero velluto.
- Ancora all’interno, trovo un piccolo taschino e la catena-tracolla da applicare alla borsa; per cui, potrò decidere di portare la mia borsa a mano o usando la sua tracolla, sia in spalla che al collo, come suggeriva la moda degli anni ’90.
Dove è prodotta la mia borsa?
Cerco l’etichetta di provenienza all’interno della borsa e la trovo facilmente: Made in China.
Questo non mi stupisce, sebbene io faccia sempre il tifo per il nostro Made in Italy; o, piuttosto, spero profondamente che i nostri grandi brand, soprattutto quelli iconici, scelgano di tornare a casa, cioè di riportare la produzione nel cuore della manifattura italiana.
I nostri comparti produttivi hanno bisogno dell’indotto e del prestigio delle grandi aziende italiane, soprattutto quelle di moda. In fondo, le passerelle più esclusive sono quelle firmate Made in Italy.
Tuttavia, sono quasi certa che Pinko produca in Italia le linee di abbigliamento; non solo perché negli anni ’80 nasce come azienda di produzione conto terzi, ma perché in diversi articoli on-line ho trovato l’esplicito richiamo alla manifattura Made in Italy.
Quindi, perché non produrre in Italia anche gli accessori?
In sostanza, la mia borsa Pinko è ben fatta.
È un accessorio elegante e di tendenza, adatto a diversi tipi di outifit, sia giornalieri che serali. In aggiunta, sia le cuciture (fatte con macchina elettronica) che le rifiniture del prodotto mostrano molta attenzione alla lavorazione. Non si può dire che non sia una borsa di qualità!
Per cui la mia borsa Pinko è promossa!
Come è stata la tua esperienza con la borsa Pinko? Scrivilo nei commenti!
Voti (0/5)
Tintura | 4 |
Cucitura | 4 |
Rifinitura | 5 |
Rapporto qualità/prezzo | 3 1/2 |
Utilità | 3 |
Guarda subito il video alla mia recensione alla borsa Pinko!
Mi consigli un’altra borsa da recensire? Scrivi qui sotto!
Grazie per il tempo che mi hai dedicato.
Fonti
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