L’OMBRELLAIO A NAPOLI: UN MESTIERE CHE NARRA UN’ECCELLENZA

Nella lingua napoletana, quando si vuole dire che qualcuno è sfortunato si dice “tene a ciorta ro’ mbrellaro, quando chiove fino fino”. Questo perché, in caso di pioggia molto sottile, le persone in strada ci pensano due volte prima di acquistare un ombrello. Preferiscono aspettare.

Adoro scoprire cosa si nasconde dietro le grandi iperboli che il popolo ha messo in piedi per spiegare qualcosa. I detti (o i proverbi), da soli, riescono a raccontare pezzi di epoche passate, abitudini e mestieri.

E l’ombrellaio, a Napoli, era uno di quei mestieri che apparteneva alla strada e alle generazioni che l’hanno calpestata.

Adesso, in caso di poggia improvvisa, siamo abituati a cercare con gli occhi qualcuno (di solito straniero) che può venderci un ombrello a pochi euro. Uno di quegli ombrelli scadenti, che si arrende ancor prima della seconda pioggia.

Niente a che vedere con l’artigianato di un tempo.

Prima, gli ombrellai di Napoli, maestri di quest’arte, realizzavano nelle loro piccole botteghe veri e propri manufatti pregiati.

Il lavoro era manuale e i materiali resistenti. Pur volendo lavorare con maggior approssimazione, non esisteva la logica obsoleta di oggi. Prima, un lavoro artigianale nasceva per durare nel tempo.

Ma esisteva anche un altro tipo di ombrellaio: quello ambulante, che girava per i palazzi più popolari e “dava la voce” alla ricerca di ombrelli rotti da riparare, oppure di qualcuno che voleva comprarne uno nuovo. Per nuovo, si intendeva in molti casi, un ombrello rotto comprato dallo stesso artigiano e rigenerato completamente.

Il riciclo era alla base del lavoro artigianale ambulante.

Quante volte abbiamo sentito dire dalle nostre nonne che Prima non si buttava via niente, non come oggi. Ai loro occhi, la nostra epoca è una fabbrica di consumi effimeri e dannosi.

E, spesso, non riesco proprio a dargli torto.

“ ‘Mbrellaroooo… Acconciambrelle…” era la voce data dagli ombrellai che passavano, nei vicoli, con i loro carretti attrezzati, perché veri e propri banchi da lavoro. Se erano stati fortunati, il vento aveva fatto il suo lavoro. Era riuscito a rompere qualche asta d’ombrello, o a squarciare la stoffa.

Quei piccoli incidenti quotidiani potevano aiutare il nostro artigiano ombrellaio ad andare avanti, giorno dopo giorno.

È curiosa, inoltre, la provenienza del termine “scassambrelle” che ha un’accezione piuttosto negativa e si riferisce a chi da fastidio al prossimo, cioè “rompe un po’ le scatole”.

Scassambrelle indica, a questo proposito, qualcuno che riesce ad importunare anche un oggetto nato proprio per essere paziente e resistere alle raffiche di vento, come l’ombrello. Figo eh?

La lingua napoletana è così ricca e intensa che non basta una vita intera per scoprirla, ed amarla.

Gli ombrellai di Napoli facevano parte di quella schiera di artigiani talentuosi, la cui arte era conosciuta in tutto lo Stivale.

Abbiamo già visto quale prestigio ha avuto la nostra sartoria, ancora oggi una considerevole eccellenza; abbiamo visto come l’arte delle calzature si è trasformata in comparti produttivi funzionanti; abbiamo esplorato molte volte la nostra pelletteria e la sua produzione per i grandi brand del lusso.

Infine, abbiamo conosciuto i nostri distretti conciari, il più importante quello di Solofra, uno dei più famosi di Europa.

Tutte le eccellenze che ci appartengono nascono dallo stesso ventre: l’artigianato e i suoi modi di esistere.

Risale al Regno delle Due Sicilie il prestigio di Napoli e dei suoi artigiani, quando grazie ad una visione illuminata, i regnanti borbonici hanno favorito la trasmissione della conoscenza dei mestieri: il Real Albergo dei Poveri, ancora oggi presente a Piazza Carlo III, fu commissionato da Carlo VII di Borbone all’architetto Ferdinando Fuga, per accogliere Chi non aveva una casa, né un mestiere con cui vivere.

In quelle stanze venivano insegnate le arti del popolo, dalla ceramica alla lavorazione del cuoio, fino a quella dei coralli e dei cammei.

Ebbene, quell’artigianato non è mai andato perduto.

Perché?

Perché, in tutti i tempi storici che sono seguiti, ha sempre rappresentano una risorsa da cui attingere, una possibilità, una via di fuga dalla povertà incombente.

Questo è ciò che penso.

Penso che il saper fare con le mani è un’arma che può resistere a tutto, e che ti fa sopravvivere sempre.

Oggi, il nostro artigianato è cambiato.

Si è trasformato assieme al Sistema economico in cui viviamo. I Nuovi artigiani parlano altre lingue e scoprono nuovi modi di esprimersi.

I social network, lo streaming video, i blog e tanti altri canali collaterali rappresentano la nuova voce dell’arte antica. Chi l’avrebbe mai detto.

È il caso, per esempio, della famiglia Talarico, gli ombrellai più famosi di Napoli, arrivati alla quinta generazione.

La bottega è sempre la stessa, quella nel Vico due Porte a Toledo, nei Quartieri Spagnoli di Napoli.

Ma, adesso, all’entrata puoi trovare un corno rosso gigante che richiama l’attenzione dei passanti e dei turisti, che il più delle volte, scelgono di farsi un selfie. Per poi entrare nella magia della bottega Talarico.

Il corno è stata un’idea di Mario junior, nipote dell’omonimo zio che gli ha insegnato il mestiere. La storia della famiglia Talarico parte nel 1860, poco prima dell’Unità d’Italia.

Achille Talarico, discendente di un pittore della Corte Reale, sposa Emilia, figlia di Giovanni Buongiovanni, un ombrellaio napoletano che aveva aperto una ditta che comprendeva anche ventagli e parasoli.

Dal matrimonio dei giovani nascono Achille e Giovanni. Quest’ultimo si innamora di Concetta, una ragazza del popolo. Contro ogni volontà familiare, sceglie di prenderla in moglie.

I due assieme rilevano l’attività di famiglia e aprono la bottega che si trova ancora oggi ai Quartieri Spagnoli.

Avranno sette figli, ma solo uno, Mario, sceglie di proseguire le orme del padre: il Mario Talarico che sarà conosciuto nel mondo e che, oggi, assieme al nipote, è tra gli ombrellai più intervistati del globo.

La CNN ha scelto di fare un servizio sui loro manufatti, prodotti che adesso, grazie all’attività e-commerce del giovane Mario arrivano in ogni angolo del mondo. Anche Papa Ratzinger e Papa Francesco hanno i loro ombrelli Talarico personalizzati. Gli stessi ombrelli che sono stata citati nella commedia di Eudardo De Filippo Natale in Casa Cupiello, quando dice ” Questo è l’ombrello di un caro amico’ è di Talarico”.

La famiglia Talarico ha anche un ottimo rapporto con i De Curtis: è facile trovare in bottega gli ombrelli che propongono il grande Totò e i suoi volti intramontabili.

Mario Senior e Mario Junior riescono ad unire una generazione all’altra, senza lasciare indietro l’oro di Napoli: l’arte del saper fare.

La manifattura, attenta e curata come un tempo, adesso, ha incontrato le foto dei Social e le strategie comunicative di un nuovo modello di commercio, quello on-line. È un’ottima ricetta, no?

L’ OMBRELLAIO E LA MANIFATTURA DI UN OMBRELLO

OMBRELLAIO

Gli ombrelli artigianali di qualità vengono lavorati con processi specifici e con materiali ultra-resistenti. C’è Chi dice che un ombrello, così realizzato, può durare anche 30 o 50 anni.

  •  Il legno viene curvato con il calore del vapore, così che possa resistere ad ogni tipo di intemperie.
  • Poi, si sceglie il modello: 8 – 12 – 14 0 16 stecche, a seconda della grandezza.
  • Si passa così alla fresatura.
  • Poi, si aggiungono le molle e si legano le balene. Queste ultime prendono questo nome perché un tempo venivano fatte con le ossa dei grandi cetacei.
  • Dopo, si taglia il tessuto scelto e lo si cuce sulla struttura.
  • Per ultimo, si curano tutte le rifiniture necessarie.

Questo è il riassunto, ovviamente, di un processo molto più lungo e articolato, parte del quale avviene in laboratorio. Alcuni passaggi vengono fatti in bottega.

Certo, sono pochissimi gli ombrellai di Napoli, oggi.

O almeno, sono pochi quelli che hanno conservato la bottega come dimora della propria arte.

Altri, si sono trasferiti nelle fabbriche e nei plessi che permettono un altro tipo di produzione. Più ampia, più segmentata e più seriale, ma che non ha perso la qualità della materia prima e della cura per i dettagli.

Io stessa lavoro in fabbrica e faccio parte di uno dei comparti produttivi di Napoli legati alla storia artigianale: la pelletteria.

La mia azienda si occupa di produzione conto terzi di borse Made in Italy e ho lavorato per importanti marchi di lusso.

ombrellaio

La produzione Made in Napoli, dai guanti fino le borse e le cinture, fa gola a moltissimi brand di fascia alta, i quali scelgono di affidarsi al nostro know-how.

La dimensione familiare delle nostre aziende e la trasmissione della conoscenza da maestro ad allievo, assieme alla presenza di una manodopera specializzata, hanno consentito alle nostre fabbriche di dedicarsi ad una produzione accurata e intima, che tiene fede agli standard di qualità richiesti dal Made in Italy.

Ma molto spesso TUTTO QUESTO NON SI SA!

Gli stessi napoletani non conoscono, fino in fondo, le potenzialità dei nostri comparti produttivi. Ignorano la grande conoscenza che costituisce le nostre fabbriche.

QUESTO PERCHÉ UNA MINACCIA, PIÙ RUMOROSA E PIÙ PUBBLICIZZATA, PER MOLTO TEMPO HA MESSO LE NOSTRE ECCELLENZE NELL’OMBRA: la Contraffazione e i suoi indotti.

Ma, a mio parere, è finito il Tempo del silenzio.

Ho scelto, tramite i miei canali social e le mie Pagine, di parlare della PRODUZIONE NAPOLETANA, dei nuovi imprenditori e delle eccellenze a cui siamo chiamati a rispondere. Per dar loro la luce che meritano.

Ho scelto di informarti sulla Produzione napoletana, sui suoi retroscena e di raccontarti le storie che ne fanno parte: giovani produttori che si mettono in discussione, donne coraggiose che creano nuove realtà, aziende familiari che sono cadute e si sono rialzate più forti di prima…

Ho scelto Napoli, ho scelto di Restare e di Fare Azienda qui. E se vuoi, assieme, potremo fare molto per comunicarne la grandezza.

CONTINUA A SEGUIRMI E AD ESPLORARE LE NOSTRE ECCELLENZE!

SCRIVI QUI SOTTO PER DIRMI COSA NE PENSI E QUALI SONO LE TUE IDEE!

GRAZIE PER IL TEMPO CHE MI HAI DEDICATO.

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FONTI EDITORIALI

Dall’Unità d’Italia ad oggi, l’artigianato napoletano che resiste: storia degli ombrelli Talarico

Talarico, ombrelli aperti tra tradizione e innovazione

Etimologia delle parole napoletane – pagina d’informazione

Come si eprime la SORTE in napoletano?

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