Calpierre: il calzaturificio Made in Italy ci porta in fabbrica

Calpierre, Napoli dal 1964.

È questa la prima cosa che si legge quando si prende in mano una calzatura Calpierre, un prodotto venduto e conosciuto in tutto il mondo.

Non si parla spesso di calzaturifici, né di produzione di scarpe Made in Italy.

Eppure si tratta di una delle nostre eccellenze più consolidate, come già abbiamo visto qualche tempo fa in un articolo dedicato alla tradizione dell’arte calzaturiera campana.

Oggi entreremo nelle stanze di chi ha portato quest’arte nel mondo, dall’Europa fino alle vetrine asiatiche, come Cina e Mongolia.

Calpierre è il primo calzaturificio campano che ci invita in fabbrica e ci fa conoscere i retroscena della produzione, un aspetto importantissimo dei brand presenti sul mercato.

Ma prima di iniziare il nostro piccolo viaggio, mi presento.

Io sono Ornella Auzino, un’imprenditrice napoletana che ha scelto di portare in rete tutto quello che ruota attorno alla pelletteria, alla produzione e ai marchi presenti sul mercato.

Io stessa faccio parte di questo micro-cosmo, poiché mi occupo di produzione conto terzi di borse di pelle, e lo faccio con rispetto e amore per la manifattura napoletana.

Produco borse per importanti brand di moda, e la mia fabbrica è anche un po’ casa mia, perché mi ha visto crescere e diventare la donna che sono.

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La mia azienda

Da pellettiera e donna di questa era, mi sono accorta che questo settore è stato sempre raccontato male, senza nessuna cura per la storia e per le persone che ne fanno parte.

A causa di pochi disonesti, l’intero comparto ha pagato per anni.

Questo ha fatto comodo a quei disonesti, e alla loro dannosa attività: la contraffazione.

Il mercato del falso ha proliferato in un mondo che non sapeva riconoscere la qualità, la sostenibilità e la dimensione umana del lavoro.

Combattere la contraffazione è ciò che mi spinge a stare in rete, raccontando il lavoro legale portato avanti dalle aziende oneste.

E lo faccio in modo indipendente: nessuno mi paga o mi ha mai pagato per essere menzionato o intervistato nei miei articoli.

Questo blog non è uno spazio pubblicitario, ma uno strumento di informazione. 

Farti conoscere la verità sulla produzione è il mio obiettivo principale, perché solo un consumatore informato può premiare chi lo merita e boicottare il mercato criminale dei prodotti fake.

Ora che ci conosciamo un po’ meglio, ti do il benvenuto sul mio blog e ti auguro una piacevole lettura alla scoperta del mondo Calpierre.

Calpierre: quando si inizia col piede giusto…

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Vito De Pasquale è l’attuale patròn del calzaturificio Calpierre, fondato dal papà nel 1964.

Vito mi ha fatto fare un giro in fabbrica, mi ha mostrato le lavorazioni più importanti per l’assemblaggio di una calzatura e mi ha raccontato questo mondo poco conosciuto, fatto di manodopera esperta ma anche di avversità.

Forse pochi sanno che una calzatura è fatta da circa 51 componenti e che l’attenzione per ogni pezzo deve essere massima se si intende realizzare un prodotto di qualità.

La qualità è un importante spartiacque quando si parla di produzione, dal momento che sul mercato esiste una varietà smisurata di prodotti, dai costi differenti.

Tra pochissimo vedremo come riconoscere facilmente una calzatura ben fatta, da una realizzata con materiali più scadenti.

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Calpierre è un brand di scarpe che produce le proprie calzature.

E, oggi, è difficile trovare un marchio che si occupa a 360° del prodotto, dalla produzione alla rete commerciale.

Per questo, è un’azienda emblematica per quanto riguarda l’evoluzione del nostro Made in Italy e tutto il suo potenziale.

La prima sede era situata ad Ercolano, nell’area vesuviana di Napoli; poi nel 1994 ci fu il trasferimento a Casandrino, una provincia dell’interland napoletano in cui risiede gran parte della manifattura pellettiera.

L’attuale fabbrica non è il calzaturificio di un tempo, ma è un’azienda innovativa e tecnologica, in cui il lavoro artigianale è valorizzato da un’organizzazione operosa.

Tuttavia, le calzature non sono il frutto di una sola azienda.

Si tratta, piuttosto, di un lavoro sinergico tra i vari attori della produzione: i semi-lavorati provenienti dai tomaifici, dai suolifici e dai fornitori esterni arriveranno al calzaturificio per essere assemblati e quindi finiti.

Ogni professionista della produzione avrà le competenze per occuparsi di un aspetto specifico; il tomaificio, per esempio, si dedicherà alla tomaia e all’orlatura, mentre il suolificio lavorerà sui dettagli della suola, come il guardolo, il pezzo anteriore della suola che andrà ad incontrare la calzatura.

Quindi, il calzaturificio provvederà ad assemblare le parti tra loro e a rifinire il prodotto, dando vita alla scarpa che ammiriamo in vetrina.

Uno degli aspetti che mi ha colpito particolarmente di Calpierre è la certificazione della filiera: il marchio, tramite una brochure ad hoc, informa il consumatore circa la provenienza dei materiali e il lavoro delle aziende partner, nominando ogni singolo componente della filiera.

Questo, per me, è meraviglioso.

Da molto tempo parlo dell’esigenza di rendere obbligatoria la certificazione di filiera in Italia, permettendo alle persone di conoscere a fondo il prodotto e le mani che l’hanno creato.

Sarebbe un’arma risolutiva contro il commercio del falso, dal momento che si complicherebbe molto la sua esistenza sul mercato.

Ma, soprattutto, sarebbero premiate le aziende oneste ed efficienti, perché solo chi non ha nulla da nascondere può mettere nero su bianco, per quello che riguarda i materiali, il lavoro e quello dei suoi partner.

Pertanto, una filiera certificata rappresenterebbe una potente garanzia per chi compra.

Calpierre non cita solo le aziende con cui lavora, ma i fornitori delle materie adoperate; si tratta principalmente delle concerie italiane da cui acquista la pelle, situate per lo più in Veneto, in Toscana e in Campania.

Non dimentichiamo che in Campania esiste un importantissimo distretto conciario, in cui arrivano persone da tutto il mondo.

Si tratta di Solofra e dell’area limitrofa, territori della provincia avellinese.

Quali sono le difficoltà maggiori nella produzione di calzature?

la scarpa, a differenza di altri accessori, è soggetta alla numerazione.

Le calzature da donna vanno dal 36 al 42, mentre per gli uomini si va dal 38 al 47, per ogni modello progettato.

Questo diventa un aspetto particolarmente difficile da gestire quando si ha a che fare con un prodotto rifinito artigianalmente che, tuttavia, deve rispondere ad un mercato ampio come quello di Calpierre.

In sostanza, ogni pezzo deve essere ben lavorato e supervisionato prima di essere spedito dall’altra parte del mondo.

Per cui, c’è l’esigenza di molto personale esperto.

Dinamiche differenti sono previste, invece, in un tipo di produzione seriale, o comunque affidata alle macchine più che al lavoro manuale; esistono aziende che convergono la produzione nel lavoro robotizzato, che inevitabilmente diventa più fluido e schematico.

Ma l’anima di Calpierre, come mi spiega Vito, risiede proprio nella storia artigianale e nella ricerca costante di esclusività.

Senza dubbio, esistono sofisticazioni differenti rispetto alla tipologia di calzatura: una scarpa classica avrà molte più lavorazioni rispetto ad una sneakers, come ci illustra il proprietario del brand; ma a prescindere dal tipo, il lavoro di attenzione e cura è prioritario.

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Come si riconosce una scarpa di qualità?

La scarpa è un po’ come il cibo. Deve essere “assaporata” per essere apprezzata.

Tuttavia, quando si entra in un negozio si può identificare subito la scarpa di qualità, a partire dal prezzo.

Una scarpa Made in Italy, fatta con materiali selezionati non può avere un costo inferiore a 100/150 euro.

Perché non sarebbe “sostenibile”.

Un prodotto di 30 euro sicuramente non è una scarpa Made in Italy, realizzata secondo gli standard della nostra manifattura.

La gomma che si usa per le suole, per esempio, è un elemento distintivo in una calzatura di valore: Calpierre realizza suole in gomma o in eva, un materiale ultra-leggero e molto versatile.

Quando la gomma della suola è molto pesante o emana un odore di “piombo” allora siamo di fronte ad un prodotto scadente, fatto con materie riciclate da altri comparti.

Principalmente, si consiglia di fare affidamento sulle produzioni Made in Italy, le quali adoperano in prevalenza la pelle italiana.

Il Made in Italy, in questo caso, è una garanzia.

Soprattutto perché materiali e collanti non certificati rappresentano una minaccia per la salute dell’individuo, dal momento che alcune sostanze possono rivelarsi tossiche.

A che punto sta il comparto in Italia?

Vito De Pascale ci spiega che gli ultimi sette anni sono stati apocalittici per il comparto moda e calzature, soprattutto dopo l’ultima stangata inflitta dalla pandemia causata dal Covid19.

Calpierre è riuscito a resistere grazie alla storicità del marchio e alla forza delle sue fondamenta; ma i più piccoli, magari, non ce l’hanno fatto. E molti brand sono ancora in bilico.

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È decisamente un momento duro per la manifattura italiana, e sarebbe auspicabile che le istituzioni intervenissero in modo deciso sulla salvaguardia del Made in Italy.

In che modo?

Con la decontribuzione del lavoro.

Vito De Pasquale è un imprenditore attivo nell’ambito di Assocalzaturifici e Confidustria.

Ed è molto tempo che i gruppi di interesse chiedono un’azione per tutelare il Made in Italy dalla concorrenza che arriva dall’estero: le aziende potrebbero, magari, essere incentivate ad assumere e a creare percorsi formativi.

Questo sarebbe possibile con un carico fiscale minore per quello che riguarda le spese contributive per i dipendenti.

In Italia le cose da fare sono davvero molte.

E la nostra manifattura è un punto di partenza importante, se si vuole agire con progettualità e lungimiranza.

L’incontro con Vito è stato molto piacevole e formativo.

A te, è servito questo piccolo viaggio?

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Guarda subito la mia intervista a Vito De Pasquale di Calpierre!

Grazie per il tempo che mi hai dedicato.

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